Haters sui social media

La vita grama degli haters sui social media

Inutile girarci intorno. Se si va sui social la maggior parte dei contenuti è incentrata sulla denigrazione, sull’insulto, su qualsiasi cosa possa in qualche modo “perculare” il cosiddetto rivale. In poche parole, in giro sui social media ci sono molti haters. Certo, siamo abituati da tempo a vedere questo tipo di comportamento in ambito politico, dove anche i partiti, miseramente, cadono nella tentazione di paragonarsi agli sfidanti per cercare di farci credere di essere migliori (con risultati ridicoli, da una parte e dall’altra dello schieramento). Ma, a quanto pare, questa è una tendenza molto forte anche nello sport.

Il problema degli haters sui social media è serio

Alessandro Mamoli, giornalista di Sky Sport, nel suo podcast Area 52 ha spesso posto l’accento su come sembra ci sia “una grande necessità di schierarsi. Ormai, quando si parla di un evento, quello o è nero o è bianco”. Niente di più vero. La zona “grigia”, che possiamo chiamare neutrale, sembra non esistere più. Il pubblico ormai si spinge a prendere una determinata questione, analizzarla e, quasi tassativamente, schierarsi a suo favore o contro. Niente più astensionismi, ma solo prese di posizione (anche dure) che spesso non avrebbero ragione di esistere. Il social media è il paradiso degli haters. E, soprattutto, riguardano gli argomenti più futili. Dal calcio al tennis, fino alle esultanze dei professionisti e, addirittura, alle scelte di palinsesto delle emittenti televisive in tempo di europei di atletica. Essere nel mezzo tra odio ed elogio, al giorno d’oggi, sembra diventato impossibile.

Critiche sì, ma “costruttive” e fino a un certo punto. Non possiamo piegare una società sportiva, un professionista o un giornale ai nostri interessi, e fin qui tutto ok. Criticare fa parte della natura umana: “alla gente non piace raccontare, ma a tutti piace contraddire” (Sherlock, stagione 1, episodio 3). Forse è per questo che, nella sezione commenti di tweet e post (anche sportivi) alquanto contrastanti con l’immaginario collettivo, il numero delle risposte supera di molto quello dei likes. Accecati dalla necessità di elevarsi a benchmark (secondo loro) della società, gli haters sui social media propinano una serie di dati non confermati, di inesattezze, di insulti o di qualsiasi altra frase che possa arrecare un danno al bersaglio scelto, nel tentativo (inutile oltre che disperato) di sentirsi migliore.

Social media, ma quale serenità?

Passino pure gli sfottò che, in qualche modo, restano un metodo accettabile per esprimere la propria distanza “ideologica” da una squadra professionistica o un atleta. Ma non si facciano passare per tali qualunque offesa gratuita al loro indirizzo. Eppure, quando si parla di sport, i social network hanno contribuito alla polarizzazione del pubblico esclusivamente da una parte o dall’altra di un fittizio schieramento. Nessuno, ormai, riesce a stare nella terra di mezzo, scegliendo la via del “quieto vivere” che permette(rebbe) di interagire con serenità, e lasciando le discussioni più accese a chi, realmente, ha una conoscenza della materia maggiore. Ovviamente, questo non vuol dire che, ad esempio, quando si parla di basket, un appassionato dello sport con la palla a spicchi possa etichettare ogni soggetto “antagonista” con epiteti irripetibili, forti della distanza telematica usata come una sorta di protezione.

Certo, perché i “leoni da tastiera” spesso sono tali solo in quanto sicuri di non potersi confrontare faccia a faccia con l’odiato interlocutore, altrimenti il loro confronto, spesso, non avrebbe nessuna possibilità di essere portato avanti. Quante volte, parlando di sport, abbiamo letto Ciccio24956 (troppo facile quando non ci si espone con il nome reale) vomitare commenti del tipo “quel gol lo facevo pure io”, “quel tiro libero non l’avrei mai sbagliato”, “non sarei mai andato in testacoda in quella curva”? Ne sono davvero sicuri? Che pietà…

I bersagli degli odiatori

La cosa più triste, tuttavia, è la scelta da parte di un hater di una persona o una società sportiva da, appunto, odiare. Cos’è che spinge un utente social a questo? Forse nemmeno l’utente in questione saprebbe rispondere. Che sia un difetto fisico di un professionista, o una loro frase pronunciata ormai decenni prima, oppure la semplice antipatia a pelle? Di sicuro c’è una cosa: quando si tratta di evidenziare ogni minimo errore dei propri antagonisti, gli haters sono lì pronti sui social media, come avvoltoi in attesa di attaccare la preda. Poco importa se è un errore di poco conto, o una piccola distrazione dovuta alla fatica. State certi che gli odiatori colpiranno senza freni, credendosi i campioni di qualsiasi sport si parli.

Come già detto, comunque, qualcosa di innato si risveglia in loro. La capacità degli avvoltoi di prendere posizione anche negli sport di cui non conoscono nemmeno le regole sarebbe un interessante caso di studio. Nell’era social, l’odio sembra essere diventata la benzina per far sì che le interazioni vadano alle stelle. Ci sarebbe da parlare anche della ridicola abitudine di pubblicare un tweet provocatorio per poi commentarsi da soli con idiozie del tipo “arrivano” o “che pescata bro” (?), ma meglio glissare sull’età cerebrale di questi soggetti, decisamente infantili. Resta il fatto che, spesso, la volontà di rendersi ridicoli va di pari passo con il tentativo di diventare un “twitterino” famoso, di cui gli altri ridono. Facile poi rifugiarsi nell’essere “troll”.

L’odio come metodo d’informazione

Va da sé che, disgraziatamente, anche le pagine di intrattenimento o di informazione sportive approfittano di questo malsano ambiente social. Vengono riportate ogni minima controversia, ogni minimo errore, ogni minima, come posso dirlo senza essere volgare, “cagata pazzesca”. I siti di informazione sanno che per fare interazioni possono far leva sulle posizioni estreme degli utenti più “molesti” presenti sui social. Questo non è necessariamente un bene, anzi. Le piattaforme stanno pian piano diventando invivibili, e una parte di responsabilità è anche la loro.

Per ricapitolare, sarebbe cosa buona e giusta lasciare gli scontri ideologici alla politica. Lo sport dovrebbe avere come fine anche quello di unire (per quanto possibile) i vari schieramenti, anche solo per qualche momento. Eppure, i social network hanno piuttosto contribuito ad amplificare la distanza tra tutte le fazioni, lasciando nella terra di nessuno i dimenticati “moderati”. Tra gli hater, invece, impazzisce la sfida alla ricerca di nuovi sport da contaminare con il loro odio smisurato, rendendosi però ogni giorno più ridicoli o più infantili. A voi la scelta.

Andrea Perini

1 Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *