Jim Clark
Jim Clark

Jim Clark: lo scozzese volante

È stato uno dei piloti più talentuosi di tutti i tempi, Ayrton Senna ammirava la sua bravura al volante. Eppure, al di fuori del mondo del motorsport, sono in pochi a conoscerne la storia. Jim Clark, nato a Kilmany il 4 marzo 1936, ha segnato un’epoca dell’automobilismo in cui molti suoi colleghi persero la vita. Un destino infausto che, purtroppo, lo ha riguardato in prima persona.

Le origini di Jim Clark

James Clark Jr., per tutti Jim Clark, nacque in una famiglia di agricoltori benestanti, i quali si trasferirono con i figli nei Borders scozzesi, nel 1942. A 16 anni, dopo aver lasciato la scuola, Jim tornò nella fattoria dei genitori e il padre lo mandò nei campi dopo avergli comprato un cane e un bastone. Se la cavava bene, ma la sua vera aspirazione era quella di avere una carriera nelle corse, cosa che, alla madre Helen, non andava giù. Così, per provare a convincerla, un giorno in cui la stava accompagnando alla fattoria con la sua berlina, iniziò a girare il volante di scatto a destra e a sinistra, dimostrandole le sue capacità da pilota. In seguito, Helen raccontò di come non fu d’accordo sulla scelta del figlio di correre, ma guardando la sua bravura si sentì davvero orgogliosa di lui.

Clark dimostrava di saperci fare anche al volante della sua berlina, una Sunbeam Mark 3 che, secondo il suo biografo Graham Gauld, gestiva in un modo quasi poetico. Anche se, in due occasioni, rischiò di ferirsi in un incidente: come quando, sulla circonvallazione di Edimburgo, saltò sul marciapiede passando ad alta velocità tra un muro e un lampione; oppure quando, dopo essere stato a una manifestazione allo Young Farmers Club, finì in un campo. Le sue capacità alla guida, comunque, secondo molti erano indiscutibili. La sua prima vera gara tenutasi a Crimond nel giugno 1956, in realtà, non avrebbe nemmeno dovuto correrla, in quanto era il meccanico del suo amico Scott Watson, proprietario di una berlina DKW Sonderklasse. Dopo aver provato in pista, Watson ebbe l’idea di far provare la sua auto a Clark, il quale si dimostrò molto più veloce del suo amico.

La grande opportunità

Dopo qualche stagione nei campionati turismo locali con il team Border Reivers, arrivò il momento della Formula 2, sempre con la stessa scuderia, in procinto di fare il salto di qualità. Nel dicembre 1958, a Brands Hatch, Clark mostrò il suo talento con una Lotus 14, chiamata in seguito Èlite: il boss della casa inglese, Colin Chapman, era anche lui un pilota, e in quella gara dovette sudare molto per tenere a bada il giovane pilota scozzese, che ebbe un solo giorno a disposizione per provare la vettura prima della gara.

Così, nel gennaio 1960, a Clark vennero presentate due offerte importanti; la Lotus lo ingaggiò come pilota di Formula 2 e Formula Junior, e la Aston Martin lo scelse come pilota di Formula 1, salvo poi rendersi conto di aver sottovalutato il lato economico di quel campionato e ritirare le vetture dopo la gara di Zandvoort. Intanto, la Lotus in F1 dovette fare a meno di John Surtees, reduce da un brutto incidente in moto; il matrimonio tra Clark e la Lotus fu inevitabile, e il pilota scozzese finì per guidare le creature di Chapman anche nella classe regina, dando vita a un connubio destinato a durare fino al 1968.

Problemi e incidenti fatali

La straordinarietà del motorsport in quegli anni era che i piloti di Formula 1 trovavano il tempo di gareggiare anche nei campionati “minori”, cosa impensabile al giorno d’oggi. Quindi, nel 1960, Jim Clark fece parlare di sé non solo nel circus, ma anche in Formula Junior, Formula 2 e la 24 ore di Le Mans, terminata in terza posizione insieme al copilota Roy Salvadori, grazie a una Aston Martin DBR1 dei Border Reivers. Al termine di quella stagione Ferrari e Porsche tentarono Clark, che restò in Lotus soprattutto per lo strettissimo legame che si era ormai formato con Chapman.

Il 1961 non fu un’annata positiva e, come se non bastasse, a Monza fu coinvolto in un terribile incidente: in una battaglia con la Ferrari di Von Trips, Clark toccò in un incidente di gara la ruota posteriore della vettura del pilota tedesco, che si cappottò arrivando oltre le recinzioni; oltre al pilota del cavallino, morirono 14 spettatori. Clark fu scosso profondamente da quell’avvenimento, ma fu uno dei tragici errori che possono accadere durante una gara. In quegli anni di sicurezza ce n’era poca, e bastava poco per perdere la vita: basti pensare all’anno prima, quando Alan Stacey, il compagno di squadra di Clark, morì a Spa per colpa di un fagiano che lo colpì al volto: da quel momento, lo scozzese sviluppò una paura per gli uccelli, e il circuito belga si confermò come il suo posto più odiato al mondo.

Entrando nel 1962, la Lotus usò la “24” sapendo già che sarebbe stata sostituita in breve tempo dalla prima vettura monoscocca usata per le corse: la Lotus 25, la creatura leggendaria che Clark avrebbe guidato maggiormente nella sua carriera. Grazie al motore Climax V8 da 182 cavalli, la scuderia inglese si avvicinò notevolmente alla Ferrari, così come la BRM e la Porsche, ponendo le basi per una stagione molto combattuta. Per Jim Clark quella stagione partì male, con un nono posto a Zandvoort e un ritiro a Monaco, ma poi, nell’odiata Spa, arrivò la prima vittoria del campionato, dopo essersi qualificato con il dodicesimo tempo.

Per il resto della stagione ci fu battaglia tra lo scozzese e Graham Hill, condizionata però da molti problemi meccanici, più frequenti in quell’epoca; proprio nell’ultima gara a Kyalami, in Sud Africa, una vittoria avrebbe consegnato il titolo nelle mani di Clark, ma mentre era in testa la sua Lotus 25 cominciò a perdere olio, e fu costretto al ritiro. Graham Hill venne incoronato campione del mondo del 1962, e Clark si congratulò con lui nonostante la delusione.

Jim Clark finalmente campione

Ma stava per arrivare la stagione del 1963. Clark e la sua Lotus erano i favoriti, eppure, come negli anni precedenti, la gara a Monaco fu difficile; il nativo di Kilmany e Graham Hill si diedero di nuovo battaglia, scambiandosi il comando della gara in svariate occasioni, ma alla fine il cambio della Lotus si inceppò, e il campione uscente riuscì a trionfare.

Poi si tornò a Spa, la nemesi di Clark, in una gara caratterizzata in gran parte dalla pioggia. Lo scozzese, tuttavia, non si fece intimorire dalle condizioni, e fu protagonista di una prova di forza impressionante: partì fortissimo, guadagnando un vantaggio considerevole già dai primi giri, per poi trovarsi a dover tenere ferma la leva del cambio che si stava allentando. Eppure, nonostante anche la pista bagnata, Clark riuscì a doppiare l’intera griglia, arrivando al traguardo con quasi cinque minuti di vantaggio sul secondo classificato, Bruce McLaren. Quella dimostrazione di talento fece capire a molti che il campionato sarebbe stato suo. Jimmy, in quella stagione, vinse sette gare chiudendo i giochi con netto anticipo, laureandosi Campione del mondo nel 1963, annata in cui andò molto vicino a vincere anche la 500 miglia di Indianapolis, facendo rabbrividire i colleghi americani che monopolizzavano quella manifestazione.

L’annata successiva fu di nuovo caratterizzata da molti guasti meccanici, e dopo una stagione altalenante, a Città del Messico Clark dovette arrendersi a John Surtees, cedendogli il titolo di Campione. Dopo quel brutto 1964, arrivò la miglior stagione dello scozzese, il 1965. In quell’anno Clark sembrò inarrivabile, e non solo in Formula 1. Vinse la Formula Tasman, la Formula 2 inglese e francese e, al terzo tentativo, la 500 miglia di Indianapolis, raggiungendo una popolarità tale da arrivare ad essere raffigurato sul famoso settimanale americano Time.

Tornato dagli Stati Uniti tornò a concentrarsi sull’obiettivo più importante, ovvero tornare a essere il campione del mondo della F1. Arrivò a vincere sei gare consecutive, conquistando il titolo alla fine della stagione. Un’annata perfetta, festeggiata umilmente nella sua piccola cittadina d’origine.

Difficoltà

Nel 1966 era previsto un cambio di regolamento, causando problemi a molti team, Lotus compresa. La scuderia inglese cominciò il campionato con un vecchio motore sotto dimensionato in attesa di ricevere il nuovo BRM H16, ma questo contribuì alla brutta stagione che passò Jim Clark al volante. Nel 1967 le cose andarono meglio, soprattutto grazie alla nuova Lotus 49 con un motore Cosworth da 3 litri, ma il campionato venne vinto da Danny Hulme. Tuttavia, nel 1968 tutto faceva presagire un ritorno alla vittoria di Clark, primo alla bandiera a scacchi nella prima gara della stagione in Sudafrica.

La tragedia

Si arrivò alla sua scelta fatale, quella di correre in una gara di Formula 2 a Hockenheim, in Germania, il 7 aprile 1968. Già durante le prove Clark non si sentì a suo agio nella sua auto, e nemmeno con la pista, così veloce e pericolosa. Come se non bastasse, la mattina della gara ci fu molta pioggia, che contribuì ad aumentare la frustrazione dello scozzese. La gara iniziò sul bagnato, e Clark perse molte posizioni. Al quinto giro, la sua vettura perse il controllo, finendo tragicamente la sua corsa tra alcuni alberi a bordo pista. Jim Clark morì sul colpo. La notizia della tragedia fece il giro del mondo il breve tempo. Si dice che in California un conduttore radiofonico chiese agli automobilisti di accendere i fanali delle loro auto in onore di Clark, illuminando le strade.

Colin Chapman, pochi giorni dopo, avviò un’indagine insieme ad altri funzionari per capire le cause dell’incidente, e si convinse che fu colpa di una foratura della gomma posteriore destra; inoltre, disse che la morte del suo amico Jimmy poteva essere evitata con delle barriere adeguate, usate in molte altre piste europee.

Chi è stato Jim Clark?

Un pilota leggendario. Questo è stato Jim Clark agli occhi dei suoi colleghi piloti, dal suo amico Jackie Stewart (che negli anni successivi si è messo in prima linea nella battaglia per un motorsport più sicuro), al mitico Juan Manuel Fangio, che di lui disse: “è il migliore al mondo”. Andando oltre, Clark ebbe la possibilità di incontrare l’astronauta russo Yuri Gagarin, che stringendogli la mano gli disse: “chissà se sei orgoglioso di me quanto io lo sono di te?”. Eppure, Jimmy amava tornare nella sua fattoria che non ha mai abbandonato, e non amava molto le serate di gala, salvo poi diventare più aperto con altri personaggi di rilievo, senza mettersi troppo in mostra. E, in conclusione, una fotografia perfetta della sua personalità viene data dal suo biografo Graham Gauld:

“Jim Clark rappresenta per molta gente quello che c’è di buono nello sport motoristico, oltre che un modello di vita. Era educato, modesto, buono e calmo, tanto da sembrare irreale nel mondo dei motori. E poi aveva un grande talento come pilota, un talento che saltava agli occhi perfino degli spettatori meno interessati.”

Andrea Perini

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