La demonizzazione dell’avversario, anche (e soprattutto) da parte della stampa

Ho sempre detto che al giorno d’oggi trovare una posizione al centro tra due fuochi rimane sempre più difficile per molti, ma a quanto pare lo è anche per i giornalisti. Pur di difendere un atleta del nostro paese, si diffama chiunque riesca a batterlo, ovviamente sportivamente parlando. Ma non è esagerato?

Partiamo però dai social. Come detto in precedenti articoli, l’aria sulle piattaforme si fa sempre più irrespirabile: tra chi difende a spada tratta il proprio beniamino e chi vomita odio gratuitamente (le due figure spesso coincidono), trovare pace su X e Instagram è un compito davvero arduo. Si trovano molto facilmente commenti ingiuriosi (anche da parte della stampa) verso un avversario che possa dare fastidio a un personaggio sportivo di nazionalità italiana; la loro colpa è solo una: essere in competizione con un azzurro. Poco importa se i rapporti tra i due ipotetici interessati sono buoni, l’avversario diventa qualcuno da buttare giù con qualsiasi mezzo. In poche parole, demonizzare quell’avversario.

Faccio dei semplici esempi. Jorge Martin, odiato perché rivale di Bagnaia e perché vince le gare sprint (come può essere una colpa?). Novak Djokovic, ancora tra i migliori mentre Sinner emerge come superstar, etichettato come “piagnone”, ma ciò non sarebbe successo se fosse stato italiano. Lewis Hamilton, impegnato per anni in uno scontro con Ferrari dal quale è sempre uscito vincitore, ha ricevuto un trattamento deplorevole da parte dei tifosi della rossa, che però cambieranno presto il loro comportamento. Inoltre vi lascio immaginare una cosa. Tadej Pogacar è ammirato da tutti, stampa compresa, per essere il ciclista al momento più forte di tutti. Ma pensate che se ci fosse stato un valido sfidante dal nostro paese, una specie di Vingegaard italiano, avrebbe avuto la stessa riconoscenza? Molto probabilmente, no. Sarebbero nate congetture pesanti da parte di social e stampa. Conosco i miei polli.

Questo tipo di problema si riscontra anche “in casa”. nei giorni scorsi, in un’intervista da parte di GQ Magazine Spagna, Carlos Sainz ha parlato del suo addio alla Ferrari a fine anno. Tra le altre cose, il pilota spagnolo ha ammesso come nessun pilota voglia sentirsi inferiore a un suo collega. Questo è il pensiero che accomuna tutti i piloti in griglia, da sempre. La Gazzetta, dal canto suo, ha pensato di pubblicare la notizia con un indecente titolo clickbait, come al loro solito del resto. Apriti cielo. Gli haters di Sainz (compresi molti ferraristi, e qui mi taccio) hanno preso la palla al balzo descrivendo il figlio d’arte come “presuntuoso”, “odioso” o peggio. Ma sarebbe bastato aprire l’articolo per capire come la Gazzetta abbia volutamente travisato il discorso fatto nell’intervista. Come già detto in passato su questo blog, questa è una deriva preoccupante del giornalismo, propenso alla ricerca di interazioni piuttosto che di semplice informazione. 

Qui passiamo alla nota dolorosa, quella che riguarda, appunto, il giornalismo. La voglia di aizzare le masse indirizzando il loro odio regresso su un certo individuo è diventata maggiore di ogni altra cosa. Il titolo qui sotto è qualcosa di sovrumano.

Il titolo è da vomito, ma vi assicuro che l’articolo è anche peggio. Come di consueto, chi è nato al di fuori dei confini nazionali e riesce ad avere più successo rispetto ai propri beniamini viene bersagliato da numerosi insulti, anche piuttosto pesanti. Demonizzare l’avversario è all’ordine del giorno. E non solo sui social, ma anche, come visto, dal mondo dei giornalisti. Una professione che una volta era sinonimo di compostezza, rispetto, realtà. Oggi anche per chi lavora nelle redazioni è difficile mantenere una distanza emotiva dagli eventi sportivi, non proprio delle questioni di vita o morte. 

Se nemmeno i giornali riescono a stare nella terra di mezzo, allora è tutto finito. Non dico di dover usare un metodo anglosassone, completamente distaccato e senza nessun apetto emozionale, ma nemmeno sfociare nell’italianissima caratteristica di scovare gli scheletri nell’armadio degli sportivi che vincono davanti a nostri connazionali. Anzi, a volte non serve nemmeno che vincano loro. Nessuno ormai conosce l’onestà intellettuale, in pochi rispettano l’avversario. Non è il motivo principale per cui la società si sta inabissando verso la melma dell’apatia, ma sicuramente è uno dei motivi.

Andrea Perini

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